Sempre dalle pagine del quotidiano
Repubblica, segnaliamo l’intervento di
Maria Cristina Carratù, che dà spazio – e voce – al richiamo di cinque preti che, questa volta, anziché rivolgersi alla Chiesa si appellano alla "comunità umana".
Non trascuriamo la volontà del malato
Di fronte ai problemi della fine della vita «non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre il comportamento adeguato», ma occorre «un attento discernimento» delle «condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti», e soprattutto della «volontà del malato». Con toni ben diversi da quelli delle gerarchie ecclesiastiche, cinque preti di frontiera - don Renzo Fanfani di Avane (Empoli), don Enzo Mazzi e don Sergio Gomiti della Comunità di base dell´Isolotto, don Fabio Masi parroco di Paterno e don Alessandro Santoro delle Piagge - parlano di fine della vita in una lettera aperta, diffusa ieri e indirizzata non al Papa, né alla Curia, ma, come spiega don Santoro, «a tutta la comunità umana», nella speranza dell´«adesione di altri preti» e con l´intento di «offrire il messaggio del Vangelo non come condanna, ma come sostegno a chi sta vivendo un dramma». Una riflessione che viene da lontano, prende forma nel confronto con le posizioni ufficiali della Chiesa di fronte alle varie emergenze etiche degli ultimi anni, a partire dal caso Welby, e si conferma nell´esacerbarsi delle polemiche sul caso Englaro, dopo la sentenza della Cassazione e dopo che il presidente del consiglio regionale Riccardo Nencini ha proposto la Toscana per «un dignitoso accompagnamento» di Eluana alla fine della vita. Mentre ieri, in un sit in davanti alla Prefettura, esponenti dei Verdi hanno chiesto «un po´ di umanità» per gli Englaro «contro l´ultima ingerenza del governo».
La lettera dei cinque preti, intitolata La legittima pluralità di opinione nella Chiesa in relazione alla scelta del padre di Eluana e alla sentenza della Cassazione, ricorda la diffusa convinzione che la condanna della sentenza, e della scelta del padre di Eluana, rappresenti «una posizione uniforme e monolitica» della Chiesa, identificata così col Papa e i vescovi. Una convinzione che dimentica come, invece, «il popolo cristiano» sia «una realtà composita», di tanti soggetti con «diversità di funzioni» sebbene con «una comune responsabilità». Da qui l´intento dei cinque preti di affermare che, invece, «nella Chiesa, a tutti i livelli di responsabilità e di partecipazione, c´è una legittimità plurale di opinione», nello spirito con cui il cardinale Carlo Maria Martini richiamò, di fronte alla invasività delle nuove tecnologie, a un «supplemento di saggezza» nei trattamenti di fine vita. I cinque ricordano la distinzione fra eutanasia e accanimento terapeutico, contenute nello stesso Catechismo della Chiesa cattolica, e insistono sul punto di fondo: «Per stabilire se un intervento medico è appropriato» scrivono «non ci si può richiamare a una regola generale quasi matematica, da cui dedurre un comportamento adeguato, ma occorre un attento discernimento che consideri le condizioni concrete, le circostanze e le intenzioni dei soggetti coinvolti». E in particolare, «non può essere trascurata la volontà del malato, in quanto a lui compete di valutare se le cure che gli vengono proposte, in tali casi di eccezionale gravità, sono effettivamente proporzionate». Il che non significa, dicono i firmatari della lettera, lasciare solo il malato nella sua scelta, «secondo una concezione di autonomia che tende erroneamente a considerarla come assoluta». Al contrario, «è responsabilità di tutti accompagnare chi soffre, soprattutto quando il momento della morte si avvicina». Meglio perciò, anziché di «sospensione» o di «spina da staccare», parlare di «limitazione dei trattamenti», rendendo chiaro che «l´assistenza deve continuare», sì, ma «commisurandosi alle effettive esigenze della persona», per esempio con la sedazione del dolore. I cinque preti concludono avvertendo: in sintonia con queste posizioni non ci sono solo loro, ma «parrocchie, comunità di base, associazioni e molte persone». (Maria Cristina Carratù)
La Repubblica, 19 dicembre 2008